I promessi sposi


Nessun libro mi ha mai suscitato passioni tanto intense come *I promessi
sposi*. Tanto lo ho odiato al liceo, tanto la riscoperta tardiva me lo ha
fatto apprezzare. Non voglio nemmeno dare tutto il merito alla mia nefasta
professoressa di lettere: ogni volta che parlo con altre persone di questa
scoperta sensazionale, tutte si ritrovano nella mia stessa condizione di
vecchio odio e ritrovato amore. Oppure devono ancora digerire la prima
parte, ancora si rifiutano di rileggerlo e trovano sospetti i miei
entusiastici apprezzamenti.

E non sono solo queste le passioni suscitate. Appassiona questa storia che
si dipana in un contesto storico e geografico, seppure sentita fino alla
nausea, e soprattutto appassionano tutti questi personaggi che pensano, si
parlano e interagiscono in modo così reale. Spesso in modo esilarante, a
volte in modo più drammatico. Al liceo non me l’avevano detto, ma Manzoni
non ha pietà per nessuno, soprattutto per i due protagonisti del titolo che
il più delle volte passano l’uno per uno stupidotto rissoso, e l’altra per
una insopportabile Maria Goretti. Quando poi passa alla descrizione della
Milano affamata e poi appestata, allora il suo occhio si sposta
sull’umanità della folla, intenta a fare gran mostra dei propri peggiori
istinti: complottisti, negazionisti, profittatori, come a dire che siamo
sempre gli stessi, che sia la peste o che sia il Covid.